sabato 2 marzo 2019

mercoledì 27 febbraio 2019

Il Carnevale di Alessandria del Carretto


Alessandria del Carretto, 


ubicato a circa mille metri sul livello del
mare, è un paese alle pendici

del Pollino in provincia di Cosenza ai confini tra la Calabria e la Basilicata, fondato nel XVII  secolo ad opera di contadini provenienti da Oriolo.





Centro agricolo-pastorale, negli ultimi decenni ha subito una forte riduzione della popolazione per lo più emigrata, oggi conta circa 600 abitanti.




Ogni anno vi ha luogo l'imperdibile Carnevale tradizionale. Una festa antica con origini 
greco/bizantine, un’usanza molto sentita dalla piccola comunità del borgo, che viene trasmessa di generazione in generazione.

L'antica festa, riunisce la comunità e i numerosi visitatori attorno alla tradizione delle "Połëcënellë", i "Pulcinella Belli e Brutti" che sfilano per le stradine del borgo inondandole di  colori e atmosfera festosa.

Quest'anno la festività si è celebrata Domenica 24 febbraio 2019. Il corteo, è iniziato intorno 
alle 15.30, dopo la vestizione a Palazzo Chidichimo svoltasi alle 14.00 .


Tre le scene principali che hanno avuto vita tra le vie del Borgo Autentico: 

- la primavera rappresentata dal Pulcinello bello, ricoperto di scialli di seta e nastri colorati; 


- l'inverno, rappresentato dalla maschera "dell Ursë",  un uomo robusto camuffato da       animale (un orso) con caratteristiche ed elementi brutali, ricoperto di stracci, pelli e   corna di animali.   L'Ursë   rappresenterà le forze oscure della natura, le entità     misteriose e mostruose che l'uomo deve riuscire a domare;




- il "Coremmë",incarnazione della Quaresima. Vestita di nero, è la figura che indica la fine del periodo carnevalesco con l'abito nero del lutto e il viso sporco di cenere.
 In mano porta un fuso in legno che rappresenta il filo della vita.




Il Carnevale Alessandrino, tra i più antichi carnevali del Sud Italia, mette in scena un vero e proprio spettacolo teatrale greco, che prelude all’arrivo della primavera.


Secondo la tradizione, i Połëcënellë Bielle sono l'allegoria dei "Belli", ovvero dell'apollineo 
impulso alla bellezza e alla vitalità; mentre i Połëcënellë Bruttë rappresentano il disordine cosmico e il frastuono. 
La danza propiziatoria nella quale si avvicendano i "Pulcinella Belli e Brutti" di Alessandria del Carretto è dunque l'eterna lotta tra l'ordine e il disordine, tra la morte e la rinascita.




sabato 24 ottobre 2015

DONATA AL COMUNE DI COSENZA LA TETE DI CARIATIDE DI MODIGLIANI






La Tete di Cariatide di Amedeo Modigliani e entrata ufficialmente a far parte del patrimonio del Comune di Cosenza. L'atto di donazione dell'opera proveniente dalla collezione di Laure Modigliani Nechtshein, che l'ha lasciata al "Modigliani Institut Archives Legales Paris-Rome"in rapporti operativi con il museo Bilotti di Villa Borghese - Roma, è stato firmato da Roberto Bilotti che in possesso di procura ha formalizzato anche la volontà dell'istituto Modigliani, comproprietario dell'opera per il 25%.



Il monumento bronzeo ricalca il modello in legno di risulta - l'unico - scolpito nel 1910 da Modì e oggi custodito in un museo australiano. La scultura fusa a regola d'arte dalla fonderia Olmeda di Roma nel rispetto delle proporzioni dell'originale, venne realizzata per celebrare il ritorno in Italia dopo 70 anni degli archivi legali intestati all'artista livornese e fu svelata al pubblico a Roma nel Novembre 2006 all'interno del cortile di Sant'Ivo alla Sapienza, sede degli Archivi di Stato del
ministero dei beni culturali, e dal 2007 fu invece esposta nel nosocomio romano San Camillo/Forlanini.






La Tete è ormai collocata già da qualche settimana nel Museo all’Aperto Bilotti (MAB) in Piazza Kennedy, contenitore artistico allestito nella via principale della città, già impreziosito da opere di Mimmo Rotella, Giorgio De Chirico, Salvador Dalì, Giacomo Manzù e altri maestri contemporanei. La decisione di destinare la donazione alla città calabrese premia la coerenza della raccolta del MAB ed è un riconoscimento ai numerosi progetti che pongono Cosenza all’avanguardia nello scenario culturale nazionale grazie ai diversi progetti di valorizzazione attivati dall'Amministrazione comunale.    (Fonte: Arte.it)



sabato 27 dicembre 2014

Le ceramiche di Squillace e la tecnica di ingobbio a "graffito".

LE CERAMICHE DI SQUILLACE 


Caratteristica delle ceramiche di Squillace è la tecnica dell'ingobbio, di origine bizantina che consiste nel decorare a graffio il manufatto dopo averlo rivestito di un velo di creta bianca;  dopo una prima cottura, l'argilla sullo sfondo assume il colore rosso mattone in contrasto con l'ornato ingobbiato biancastro . Il manufatto riceve l'invetriatura prima di una seconda cottura . L'ornato può infine essere dipinto o lasciato bianco.



Un po' di storia

Già i Greci colonizzatori avevano trovato nel Brutium un'ottima materia prima che ne facilitò l'integrazione con la gente indigena ionica. Senza dubbio alcuno, e in fase successiva, gli abitanti della Minerva Scolacium, se la portarono su, al Castrum, quella maestria che già usavano da molto tepo per ostruire l'utensileria del quotidiano. E lì, spinti e costretti dalle continue scorrerie saracene, trovarono, sul quelle colline di granito una vasta pianura di calcare da cui estrarre, già allora, argilla caolinite e ferrosa particolarmente adatte non solo al vasellame per l'uso di ogni giorno, ma soprattutto adatte successivamente alla tecnica dell'ingobbio graffito a risparmio che gli argagnari della Stridula apprendono con ottima perizia dai monaci copti, tecnica affinata e perfezionata nel lungo periodo bizantino.  

 La ceramica graffita di un caldo colore rosso-scuro diviene già allora la tipica caratteristica produzione dei figuli di Squillate , resiste all'influsso siculo-musulmano che ne arricchisce il repertorio decorativo, ma senza influenzarne l'impostazione tecnologica. Questa maestria è attestata fin dal 1096 nell'atto di donazione di Ruggero il Normanno alla Certosa di Serra di San Bruno: con quell'atto all'Abbazia, oltre ai vasti territori, vengono assegnati figuli e servi figuli di Squillace. I figuli di Squillace sono conosciuti già allora in tutta la regione: il loro vasellame e le loro ceramiche sono molto richieste; li troviamo nel XV secolo alla corte di Ferrante d'Aragona il cui figlio Federico ebbe in feudo il Principato di Squillace. 



La ceramica di Squillace oggi.  



Attualmente Squillace è inserita nei 32 comuni d' italia che hanno ottenuto il marchio D.O.C. per la produzione artistica e tradizionale. 





Un decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'Artigianato, riconosce la città di Squillace:
 "ZONA DEL TERRITORIO NAZIONALE NEL QUALE E' IN ATTO UN'AFFERMATA PRODUZIONE DI CERAMICA ARTISTICA E TRADIZIONALE".

Ceramiche di Squillace si trovano al Museo Internazionale di Faenza, Rovereto, di Capodimonte, a Londra al Vittoria and Albert Museum, al British, al Metropolitan ofArt di New York, alla Rohsska Kanstslojmseet di Goterborg, al Museé du Petit Palais di Parigi. Ceramiche di Squillace sono comparse, a quanto afferma Donatone, in aste Sotheby's a Firenze. 






Questo patrimonio di vitalità artistica ed economica del passato che ha fatto di Squillace un centro di importanza fondamentale del comprensorio, tenuto vivo di generazione in generazione anche se con fasi alterne dalla costanza e dall'amore di alcune famiglie squillacesi, è documentato inoltre da atti notarili catasto onciario Napoletani e da validi studi storici. E continua ad essere oggi un solido riferimento per quei giovani diplomati
 del Liceo artistico di Squillace che nell'incontro con l'arte ceramica dei padri vedono ancora in un mondo dominato dal più sfrenato consumismo e da una dilagante disoccupazione, non un futuro economico possibile ma qual unico e particolare per esprimere la propria arte convinti anche attraverso l'elaborazione artistica dell'argilla in un continuum con il passato si possa comunicare cultura e ridare a Squillace quel posto che merita.



domenica 16 novembre 2014

Mormanno (cs) La festa dei Perciavutti

12.a edizione  festa dei Perciavutti. 

6-7-8-dicembre Mormanno (cs)




La festa di “Perciavutti”, che si tiene ogni anno il giorno 8 dicembre, fa rivivere un’antica tradizione secondo la quale si aspettava il giorno dell’Immacolata per recarsi nel “vuttaru” (locale tipico dove si tenevano le botti) della propria abitazione per spillare il vino nuovo, accompagnandolo con taralli, noci, lupini, ecc.. Questo rituale viene riproposto dall’Associazione Comunalia nei quattro quartieri del paese, Capo lo Serro – Casalicchio – Costa – Torretta.
È così che nel caratteristico borgo del Pollino vengono allestite le suggestive “Cantine” dove, a suon di musica e accompagnati dall’assaggio dei prodotti della più antica tradizione mormannese, si spillano le botti e si beve il vino nuovo.




 Circa due mesi prima iniziano i preparativi. Ci si impegna per allestire nel modo più originale la propria Cantina, facendo innanzitutto una ricerca sul luogo più appropriato dove mettere in scena la festa, si prosegue con il recupero di materiali e arnesi antichi per rendere l’ambiente come era un tempo, si preparano antichi piatti e si sceglie il vino novello che sarà poi offerto ai visitatori. La sera dell’Immacolata le Cantine aprono le porte: chi vuol esser lieto sia!!!   ( fonte miromagnum.blogspot.com)



Scriveva V.Padula intorno alla metà del 1800:
Mormanno, vigne molte, miste miste a castagneti e ortaggi: si fanno o a conto proprio o a quarto o a metà………..Le viti si tengono a busto d’uomo, per non infradiciare l’uve. Uve migliori: nivurana, cannamele, mostarda, cascarola, castiglione, aulivella.
Mangerecce: guagliona nera, lunguvarda, jditella coglione di gallu”




Qualcuno di questi antichi vitigni esiste ancora ma la produzione di vino è calata di molto e serve solo per uso familiare. Essendo le zone in cui si produce il vino (Donna Bianca, Colle di Ferruzzo, Pietragrossa, Profitta) comunque di alta collina, il mosto matura più tardi rispetto alla norma (S.Martino ogni mosto è fatto vino), perciò l’assaggio del vino nuovo avviene agli inizi di Dicembre, e precisamente, come vuole la tradizione, il giorno dell’Immacolata, appunto l’8 Dicembre.



L’Associazione “Comunalia” con l’intento di far conoscere all’esterno questa nostra antica usanza, organizza da sette anni la manifestazione “Perciavutti”.

perciavutti.jpg

Anche quest’anno, nel cuore dei quattro quartieri del centro storico – Capo lo Serro, Casalicchio, Torretta e Costa – saranno allestiti altrattanti “vuttari” tipici in cui avrà luogo il tradizionale rituale della perciatura delle botti.
Il vino così spillato, sarà offerto agli ospiti che potranno gustarlo accompagnandolo con cibi della più antica tradizione mormannese e con tanta musica e allegria.
Non perdetevi questa serata, Mormanno e i suoi abitanti vi aspettano con un ricco programma per tutte le tre giornate!!!








Cenni storici su Mormanno

Il centro abitato di Mormanno sorge fra le dorsali del Monte Vernita e della Costa, a 840 metri s. l. m. nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, lambendo ad est il confine con il versante lucano. L’estensione del territorio comunale è di 75,90 km² con una densità abitativa pari a 46,48 ab/km². Mormanno risulta essere una salubre e frequentata località di montagna, da cui sono facilmente raggiungibili il monte Velatro (1107 m), il monte Cerviero (1441 m) ed il monte Palanuda (1631 m)oltre alle cime più alte del Pollino e del Pellegrino. Il centro storico di Mormanno si distende su quattro colli, il più antico dei quali, ad ovest, viene comunemente detto la Costa, mentre ad est vi è il quartiere di San Michele, a sud di San Rocco che rappresenta l’ingresso del corso municipale, ed a nord la Torretta.
Le origini di Mormanno, appaiono ignote ancora oggi, sebbene gli storici locali ipotizzino la sua esistenza a partire dall’epoca longobarda, dove possibili tracce di primi insediamenti sul colle della Costa sono ritenute probabili dalla posizione dominante a nord della sottostante valle del fiume Lao.
L’ubicazione strategica sulle vie di comunicazione e la radice etimologica del toponimo, ci testimoniano la sua preesistenza dall’espressione “montes Miromannorum” utilizzata in un’agiografia di San Leoluca di Corleone, il quale si recò a Mormanno per meditare. Il nome Mormanno infatti secondo alcuni storici deriverebbe dal germanico Marimannus o Merimannus, oppure si riferirebbe agli arimanni, ovvero ai mercenari di origine germanica a cui fu concesso un territorio dove stanziarsi compreso tra il gastaldato di Laino e la fortezza di Papasidero. Il nome mons arimannorum si riferirebbe emblematicamente al borgo e se ne trova traccia in molti documenti successivi con numerose varianti, tra cui spicca Miromagnum il quale ne qualifica la sua posizione dominante l’ampia vallata del Mercure, i quali contribuirono a creare la forma corrente.




video promozionale sulla festa dei Perciavutti

domenica 2 novembre 2014

Le danze folkloristiche calabresi

  Le danze folkloristiche calabresi

La Tarantella

La Danza popolaresca, a carattere regionale, è la tarantella, la quale tuttavia cambia, nell'impostazione e nelle figure, da zona a zona e persino da paese a paese. Ballata sugli spazi dei villaggi, nelle feste padronali o sulle vie in occasione della vendemmia o dei raccolti ma anche al chiuso, in casa o nei saloni per feste private, ricorrenze o meno, da cui "ballu nto sularu". La musica è offerta dagli strumenti tradizionali: la zampogna e i tamburelli. Il più delle volte danzano soltanto gli uomini e la tarantella assume l'andamento di un duello, in cui si fanno le finte dell'attacco e della difesa. Il cerchio d'attorno detto "rota" prende parte ad esso sottolineando con grida e battiti di mani il ritmo della musica e i passi dei ballerini. In alcuni paesi la tarantella è danzata a due alla volta, a coppie alterne, a volte regolate da un "mastru di ballu" a volte con cambi spontanei.






La Viddhaneddha 

L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddhaneddha. Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Per quanto riguarda gli strumenti il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la zampogna. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo. Molto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo. Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilità, il capofamiglia, il padrone di casa. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze. In alcuni comuni non era neanche immaginabile ribellarsi alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni. 



La Vala degli Albanesi 

In alcuni paesi di origine albanese il martedi dopo Pasqua, per la celebrazione della tradizionale festa nazionale, si svolge una pittoresca manifestazione la cui parte centrale è costituita da una danza detta "vala". La "vala" è una specie di quadriglia che viene ballata all'aperto da schiere di donne vestite coi loro sfrzosi costumi d'origine e guidate per le strade da un solo cavaliere. Al ritmo della "vala" si accompagnano armoniosi cori, che celebrano le gesta di guerra dei famosi eroi d'Albania nella secolare lotta contro i Turchi invasori. Le persone che non partecipano direttamente alla "vala", ma fanno corona d'attorno, spesso sono travolte nel quadrato della danza e allora spetta loro il dovere di offrire dolciumi e bevande.




Lu Cacciattacci 

Canto lento e noioso, lunghissimo e implacabile, che mette a dura prova la resistenza dei ballerini e de loro...scarponi, sino a far saltare i chiodi (attacci) dalle suole. Al ritmo del "cacciattacci" ballano soltanto gli uomini e, quando non ne possono più, essi rientrano nella folla che fa cerchio alla pista, sostituiti da altri più freschi e riposati. ( fonte: portalecalabria.com)





Nel video una tarantella calabrese.

martedì 28 ottobre 2014

Pipe artigianali calabresi




PIPE ARTIGIANALI, ECCELLENZE CALABRESI


                                                             
La produzione di pipe è una tradizione tramandata da padre in figlio ed è fra le più antiche e famose attività artigianali della regione.
E’ un lavoro appassionante e delicato, costituisce una delle voci più importanti per la commercializzazione nei mercati nazionale ed internazionali.
Nelle vetrine dei negozi più famosi del mondo vengono esposte come elemento di grande distinzione, raffinatezza ed eleganza.




Le pipe calabresi risultano al primo posto nelle collezioni degli amatori e ricercatori più illustri, veri e propri estimatori del calibro dell’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini, Enzo Bearzot e lo storico sindacalista Luciano Lama apprezzate per le loro qualità funzionali che estetiche.


La produzione di pipe è realizzata con particolare maestria in alcuni piccoli paesini come Mandatoriccio e Rovito, in provincia di Cosenza, Brognaturo, piccolo centro montano arroccato ad un'altitudine di 750 metri sul livello del mare in provincia di Vibo Valentia e anche a Reggio Calabria.



La materia prima prodotta dai boschi calabresi è molto adatta per confezionare pipe di ottima qualità.
Particolarmente apprezzata la produzione di pipe di grandissimo pregio realizzate in radica di noce.
Per la realizzazione delle pipe si usa una protuberanza della radice della pianta Erica Arborea detta “ciocco”.
Il “ciocco” prima di essere utilizzato viene fatto stagionare almeno 2 anni (la stagionatura può anche essere più lunga, alcuni artigiani calabresi usano il “ciocco” solo dopo 9 anni).
         



Questa lunga stagionatura infonde al tabacco un gusto particolare ed unico.
Il processo lavorativo delle pipe calabresi è affascinante. La lavorazione è ancora realizzata a mano in tutte le sue fasi.

E’ un procedimento , attraverso il quale, con una lentissima scansione di tempo, si perviene all’oggetto finito. (fonte: dal web)


Alcune famose aziende Calabresi:
Azienda Fam.CARLINO - Mandatoriccio (cs)       
Azienda Fabrizio Romeo - Reggio Calabria
Azienda LAVORATORE DANTE - Rovito (cs)
Azienda VINCENZO GRENCI - Brognaturo (Vv)