domenica 16 novembre 2014

Mormanno (cs) La festa dei Perciavutti

12.a edizione  festa dei Perciavutti. 

6-7-8-dicembre Mormanno (cs)




La festa di “Perciavutti”, che si tiene ogni anno il giorno 8 dicembre, fa rivivere un’antica tradizione secondo la quale si aspettava il giorno dell’Immacolata per recarsi nel “vuttaru” (locale tipico dove si tenevano le botti) della propria abitazione per spillare il vino nuovo, accompagnandolo con taralli, noci, lupini, ecc.. Questo rituale viene riproposto dall’Associazione Comunalia nei quattro quartieri del paese, Capo lo Serro – Casalicchio – Costa – Torretta.
È così che nel caratteristico borgo del Pollino vengono allestite le suggestive “Cantine” dove, a suon di musica e accompagnati dall’assaggio dei prodotti della più antica tradizione mormannese, si spillano le botti e si beve il vino nuovo.




 Circa due mesi prima iniziano i preparativi. Ci si impegna per allestire nel modo più originale la propria Cantina, facendo innanzitutto una ricerca sul luogo più appropriato dove mettere in scena la festa, si prosegue con il recupero di materiali e arnesi antichi per rendere l’ambiente come era un tempo, si preparano antichi piatti e si sceglie il vino novello che sarà poi offerto ai visitatori. La sera dell’Immacolata le Cantine aprono le porte: chi vuol esser lieto sia!!!   ( fonte miromagnum.blogspot.com)



Scriveva V.Padula intorno alla metà del 1800:
Mormanno, vigne molte, miste miste a castagneti e ortaggi: si fanno o a conto proprio o a quarto o a metà………..Le viti si tengono a busto d’uomo, per non infradiciare l’uve. Uve migliori: nivurana, cannamele, mostarda, cascarola, castiglione, aulivella.
Mangerecce: guagliona nera, lunguvarda, jditella coglione di gallu”




Qualcuno di questi antichi vitigni esiste ancora ma la produzione di vino è calata di molto e serve solo per uso familiare. Essendo le zone in cui si produce il vino (Donna Bianca, Colle di Ferruzzo, Pietragrossa, Profitta) comunque di alta collina, il mosto matura più tardi rispetto alla norma (S.Martino ogni mosto è fatto vino), perciò l’assaggio del vino nuovo avviene agli inizi di Dicembre, e precisamente, come vuole la tradizione, il giorno dell’Immacolata, appunto l’8 Dicembre.



L’Associazione “Comunalia” con l’intento di far conoscere all’esterno questa nostra antica usanza, organizza da sette anni la manifestazione “Perciavutti”.

perciavutti.jpg

Anche quest’anno, nel cuore dei quattro quartieri del centro storico – Capo lo Serro, Casalicchio, Torretta e Costa – saranno allestiti altrattanti “vuttari” tipici in cui avrà luogo il tradizionale rituale della perciatura delle botti.
Il vino così spillato, sarà offerto agli ospiti che potranno gustarlo accompagnandolo con cibi della più antica tradizione mormannese e con tanta musica e allegria.
Non perdetevi questa serata, Mormanno e i suoi abitanti vi aspettano con un ricco programma per tutte le tre giornate!!!








Cenni storici su Mormanno

Il centro abitato di Mormanno sorge fra le dorsali del Monte Vernita e della Costa, a 840 metri s. l. m. nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, lambendo ad est il confine con il versante lucano. L’estensione del territorio comunale è di 75,90 km² con una densità abitativa pari a 46,48 ab/km². Mormanno risulta essere una salubre e frequentata località di montagna, da cui sono facilmente raggiungibili il monte Velatro (1107 m), il monte Cerviero (1441 m) ed il monte Palanuda (1631 m)oltre alle cime più alte del Pollino e del Pellegrino. Il centro storico di Mormanno si distende su quattro colli, il più antico dei quali, ad ovest, viene comunemente detto la Costa, mentre ad est vi è il quartiere di San Michele, a sud di San Rocco che rappresenta l’ingresso del corso municipale, ed a nord la Torretta.
Le origini di Mormanno, appaiono ignote ancora oggi, sebbene gli storici locali ipotizzino la sua esistenza a partire dall’epoca longobarda, dove possibili tracce di primi insediamenti sul colle della Costa sono ritenute probabili dalla posizione dominante a nord della sottostante valle del fiume Lao.
L’ubicazione strategica sulle vie di comunicazione e la radice etimologica del toponimo, ci testimoniano la sua preesistenza dall’espressione “montes Miromannorum” utilizzata in un’agiografia di San Leoluca di Corleone, il quale si recò a Mormanno per meditare. Il nome Mormanno infatti secondo alcuni storici deriverebbe dal germanico Marimannus o Merimannus, oppure si riferirebbe agli arimanni, ovvero ai mercenari di origine germanica a cui fu concesso un territorio dove stanziarsi compreso tra il gastaldato di Laino e la fortezza di Papasidero. Il nome mons arimannorum si riferirebbe emblematicamente al borgo e se ne trova traccia in molti documenti successivi con numerose varianti, tra cui spicca Miromagnum il quale ne qualifica la sua posizione dominante l’ampia vallata del Mercure, i quali contribuirono a creare la forma corrente.




video promozionale sulla festa dei Perciavutti

domenica 2 novembre 2014

Le danze folkloristiche calabresi

  Le danze folkloristiche calabresi

La Tarantella

La Danza popolaresca, a carattere regionale, è la tarantella, la quale tuttavia cambia, nell'impostazione e nelle figure, da zona a zona e persino da paese a paese. Ballata sugli spazi dei villaggi, nelle feste padronali o sulle vie in occasione della vendemmia o dei raccolti ma anche al chiuso, in casa o nei saloni per feste private, ricorrenze o meno, da cui "ballu nto sularu". La musica è offerta dagli strumenti tradizionali: la zampogna e i tamburelli. Il più delle volte danzano soltanto gli uomini e la tarantella assume l'andamento di un duello, in cui si fanno le finte dell'attacco e della difesa. Il cerchio d'attorno detto "rota" prende parte ad esso sottolineando con grida e battiti di mani il ritmo della musica e i passi dei ballerini. In alcuni paesi la tarantella è danzata a due alla volta, a coppie alterne, a volte regolate da un "mastru di ballu" a volte con cambi spontanei.






La Viddhaneddha 

L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddhaneddha. Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Per quanto riguarda gli strumenti il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la zampogna. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo. Molto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo. Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilità, il capofamiglia, il padrone di casa. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze. In alcuni comuni non era neanche immaginabile ribellarsi alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni. 



La Vala degli Albanesi 

In alcuni paesi di origine albanese il martedi dopo Pasqua, per la celebrazione della tradizionale festa nazionale, si svolge una pittoresca manifestazione la cui parte centrale è costituita da una danza detta "vala". La "vala" è una specie di quadriglia che viene ballata all'aperto da schiere di donne vestite coi loro sfrzosi costumi d'origine e guidate per le strade da un solo cavaliere. Al ritmo della "vala" si accompagnano armoniosi cori, che celebrano le gesta di guerra dei famosi eroi d'Albania nella secolare lotta contro i Turchi invasori. Le persone che non partecipano direttamente alla "vala", ma fanno corona d'attorno, spesso sono travolte nel quadrato della danza e allora spetta loro il dovere di offrire dolciumi e bevande.




Lu Cacciattacci 

Canto lento e noioso, lunghissimo e implacabile, che mette a dura prova la resistenza dei ballerini e de loro...scarponi, sino a far saltare i chiodi (attacci) dalle suole. Al ritmo del "cacciattacci" ballano soltanto gli uomini e, quando non ne possono più, essi rientrano nella folla che fa cerchio alla pista, sostituiti da altri più freschi e riposati. ( fonte: portalecalabria.com)





Nel video una tarantella calabrese.