sabato 27 dicembre 2014

Le ceramiche di Squillace e la tecnica di ingobbio a "graffito".

LE CERAMICHE DI SQUILLACE 


Caratteristica delle ceramiche di Squillace è la tecnica dell'ingobbio, di origine bizantina che consiste nel decorare a graffio il manufatto dopo averlo rivestito di un velo di creta bianca;  dopo una prima cottura, l'argilla sullo sfondo assume il colore rosso mattone in contrasto con l'ornato ingobbiato biancastro . Il manufatto riceve l'invetriatura prima di una seconda cottura . L'ornato può infine essere dipinto o lasciato bianco.



Un po' di storia

Già i Greci colonizzatori avevano trovato nel Brutium un'ottima materia prima che ne facilitò l'integrazione con la gente indigena ionica. Senza dubbio alcuno, e in fase successiva, gli abitanti della Minerva Scolacium, se la portarono su, al Castrum, quella maestria che già usavano da molto tepo per ostruire l'utensileria del quotidiano. E lì, spinti e costretti dalle continue scorrerie saracene, trovarono, sul quelle colline di granito una vasta pianura di calcare da cui estrarre, già allora, argilla caolinite e ferrosa particolarmente adatte non solo al vasellame per l'uso di ogni giorno, ma soprattutto adatte successivamente alla tecnica dell'ingobbio graffito a risparmio che gli argagnari della Stridula apprendono con ottima perizia dai monaci copti, tecnica affinata e perfezionata nel lungo periodo bizantino.  

 La ceramica graffita di un caldo colore rosso-scuro diviene già allora la tipica caratteristica produzione dei figuli di Squillate , resiste all'influsso siculo-musulmano che ne arricchisce il repertorio decorativo, ma senza influenzarne l'impostazione tecnologica. Questa maestria è attestata fin dal 1096 nell'atto di donazione di Ruggero il Normanno alla Certosa di Serra di San Bruno: con quell'atto all'Abbazia, oltre ai vasti territori, vengono assegnati figuli e servi figuli di Squillace. I figuli di Squillace sono conosciuti già allora in tutta la regione: il loro vasellame e le loro ceramiche sono molto richieste; li troviamo nel XV secolo alla corte di Ferrante d'Aragona il cui figlio Federico ebbe in feudo il Principato di Squillace. 



La ceramica di Squillace oggi.  



Attualmente Squillace è inserita nei 32 comuni d' italia che hanno ottenuto il marchio D.O.C. per la produzione artistica e tradizionale. 





Un decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'Artigianato, riconosce la città di Squillace:
 "ZONA DEL TERRITORIO NAZIONALE NEL QUALE E' IN ATTO UN'AFFERMATA PRODUZIONE DI CERAMICA ARTISTICA E TRADIZIONALE".

Ceramiche di Squillace si trovano al Museo Internazionale di Faenza, Rovereto, di Capodimonte, a Londra al Vittoria and Albert Museum, al British, al Metropolitan ofArt di New York, alla Rohsska Kanstslojmseet di Goterborg, al Museé du Petit Palais di Parigi. Ceramiche di Squillace sono comparse, a quanto afferma Donatone, in aste Sotheby's a Firenze. 






Questo patrimonio di vitalità artistica ed economica del passato che ha fatto di Squillace un centro di importanza fondamentale del comprensorio, tenuto vivo di generazione in generazione anche se con fasi alterne dalla costanza e dall'amore di alcune famiglie squillacesi, è documentato inoltre da atti notarili catasto onciario Napoletani e da validi studi storici. E continua ad essere oggi un solido riferimento per quei giovani diplomati
 del Liceo artistico di Squillace che nell'incontro con l'arte ceramica dei padri vedono ancora in un mondo dominato dal più sfrenato consumismo e da una dilagante disoccupazione, non un futuro economico possibile ma qual unico e particolare per esprimere la propria arte convinti anche attraverso l'elaborazione artistica dell'argilla in un continuum con il passato si possa comunicare cultura e ridare a Squillace quel posto che merita.



domenica 16 novembre 2014

Mormanno (cs) La festa dei Perciavutti

12.a edizione  festa dei Perciavutti. 

6-7-8-dicembre Mormanno (cs)




La festa di “Perciavutti”, che si tiene ogni anno il giorno 8 dicembre, fa rivivere un’antica tradizione secondo la quale si aspettava il giorno dell’Immacolata per recarsi nel “vuttaru” (locale tipico dove si tenevano le botti) della propria abitazione per spillare il vino nuovo, accompagnandolo con taralli, noci, lupini, ecc.. Questo rituale viene riproposto dall’Associazione Comunalia nei quattro quartieri del paese, Capo lo Serro – Casalicchio – Costa – Torretta.
È così che nel caratteristico borgo del Pollino vengono allestite le suggestive “Cantine” dove, a suon di musica e accompagnati dall’assaggio dei prodotti della più antica tradizione mormannese, si spillano le botti e si beve il vino nuovo.




 Circa due mesi prima iniziano i preparativi. Ci si impegna per allestire nel modo più originale la propria Cantina, facendo innanzitutto una ricerca sul luogo più appropriato dove mettere in scena la festa, si prosegue con il recupero di materiali e arnesi antichi per rendere l’ambiente come era un tempo, si preparano antichi piatti e si sceglie il vino novello che sarà poi offerto ai visitatori. La sera dell’Immacolata le Cantine aprono le porte: chi vuol esser lieto sia!!!   ( fonte miromagnum.blogspot.com)



Scriveva V.Padula intorno alla metà del 1800:
Mormanno, vigne molte, miste miste a castagneti e ortaggi: si fanno o a conto proprio o a quarto o a metà………..Le viti si tengono a busto d’uomo, per non infradiciare l’uve. Uve migliori: nivurana, cannamele, mostarda, cascarola, castiglione, aulivella.
Mangerecce: guagliona nera, lunguvarda, jditella coglione di gallu”




Qualcuno di questi antichi vitigni esiste ancora ma la produzione di vino è calata di molto e serve solo per uso familiare. Essendo le zone in cui si produce il vino (Donna Bianca, Colle di Ferruzzo, Pietragrossa, Profitta) comunque di alta collina, il mosto matura più tardi rispetto alla norma (S.Martino ogni mosto è fatto vino), perciò l’assaggio del vino nuovo avviene agli inizi di Dicembre, e precisamente, come vuole la tradizione, il giorno dell’Immacolata, appunto l’8 Dicembre.



L’Associazione “Comunalia” con l’intento di far conoscere all’esterno questa nostra antica usanza, organizza da sette anni la manifestazione “Perciavutti”.

perciavutti.jpg

Anche quest’anno, nel cuore dei quattro quartieri del centro storico – Capo lo Serro, Casalicchio, Torretta e Costa – saranno allestiti altrattanti “vuttari” tipici in cui avrà luogo il tradizionale rituale della perciatura delle botti.
Il vino così spillato, sarà offerto agli ospiti che potranno gustarlo accompagnandolo con cibi della più antica tradizione mormannese e con tanta musica e allegria.
Non perdetevi questa serata, Mormanno e i suoi abitanti vi aspettano con un ricco programma per tutte le tre giornate!!!








Cenni storici su Mormanno

Il centro abitato di Mormanno sorge fra le dorsali del Monte Vernita e della Costa, a 840 metri s. l. m. nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, lambendo ad est il confine con il versante lucano. L’estensione del territorio comunale è di 75,90 km² con una densità abitativa pari a 46,48 ab/km². Mormanno risulta essere una salubre e frequentata località di montagna, da cui sono facilmente raggiungibili il monte Velatro (1107 m), il monte Cerviero (1441 m) ed il monte Palanuda (1631 m)oltre alle cime più alte del Pollino e del Pellegrino. Il centro storico di Mormanno si distende su quattro colli, il più antico dei quali, ad ovest, viene comunemente detto la Costa, mentre ad est vi è il quartiere di San Michele, a sud di San Rocco che rappresenta l’ingresso del corso municipale, ed a nord la Torretta.
Le origini di Mormanno, appaiono ignote ancora oggi, sebbene gli storici locali ipotizzino la sua esistenza a partire dall’epoca longobarda, dove possibili tracce di primi insediamenti sul colle della Costa sono ritenute probabili dalla posizione dominante a nord della sottostante valle del fiume Lao.
L’ubicazione strategica sulle vie di comunicazione e la radice etimologica del toponimo, ci testimoniano la sua preesistenza dall’espressione “montes Miromannorum” utilizzata in un’agiografia di San Leoluca di Corleone, il quale si recò a Mormanno per meditare. Il nome Mormanno infatti secondo alcuni storici deriverebbe dal germanico Marimannus o Merimannus, oppure si riferirebbe agli arimanni, ovvero ai mercenari di origine germanica a cui fu concesso un territorio dove stanziarsi compreso tra il gastaldato di Laino e la fortezza di Papasidero. Il nome mons arimannorum si riferirebbe emblematicamente al borgo e se ne trova traccia in molti documenti successivi con numerose varianti, tra cui spicca Miromagnum il quale ne qualifica la sua posizione dominante l’ampia vallata del Mercure, i quali contribuirono a creare la forma corrente.




video promozionale sulla festa dei Perciavutti

domenica 2 novembre 2014

Le danze folkloristiche calabresi

  Le danze folkloristiche calabresi

La Tarantella

La Danza popolaresca, a carattere regionale, è la tarantella, la quale tuttavia cambia, nell'impostazione e nelle figure, da zona a zona e persino da paese a paese. Ballata sugli spazi dei villaggi, nelle feste padronali o sulle vie in occasione della vendemmia o dei raccolti ma anche al chiuso, in casa o nei saloni per feste private, ricorrenze o meno, da cui "ballu nto sularu". La musica è offerta dagli strumenti tradizionali: la zampogna e i tamburelli. Il più delle volte danzano soltanto gli uomini e la tarantella assume l'andamento di un duello, in cui si fanno le finte dell'attacco e della difesa. Il cerchio d'attorno detto "rota" prende parte ad esso sottolineando con grida e battiti di mani il ritmo della musica e i passi dei ballerini. In alcuni paesi la tarantella è danzata a due alla volta, a coppie alterne, a volte regolate da un "mastru di ballu" a volte con cambi spontanei.






La Viddhaneddha 

L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddhaneddha. Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Per quanto riguarda gli strumenti il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la zampogna. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo. Molto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo. Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilità, il capofamiglia, il padrone di casa. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze. In alcuni comuni non era neanche immaginabile ribellarsi alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni. 



La Vala degli Albanesi 

In alcuni paesi di origine albanese il martedi dopo Pasqua, per la celebrazione della tradizionale festa nazionale, si svolge una pittoresca manifestazione la cui parte centrale è costituita da una danza detta "vala". La "vala" è una specie di quadriglia che viene ballata all'aperto da schiere di donne vestite coi loro sfrzosi costumi d'origine e guidate per le strade da un solo cavaliere. Al ritmo della "vala" si accompagnano armoniosi cori, che celebrano le gesta di guerra dei famosi eroi d'Albania nella secolare lotta contro i Turchi invasori. Le persone che non partecipano direttamente alla "vala", ma fanno corona d'attorno, spesso sono travolte nel quadrato della danza e allora spetta loro il dovere di offrire dolciumi e bevande.




Lu Cacciattacci 

Canto lento e noioso, lunghissimo e implacabile, che mette a dura prova la resistenza dei ballerini e de loro...scarponi, sino a far saltare i chiodi (attacci) dalle suole. Al ritmo del "cacciattacci" ballano soltanto gli uomini e, quando non ne possono più, essi rientrano nella folla che fa cerchio alla pista, sostituiti da altri più freschi e riposati. ( fonte: portalecalabria.com)





Nel video una tarantella calabrese.

martedì 28 ottobre 2014

Pipe artigianali calabresi




PIPE ARTIGIANALI, ECCELLENZE CALABRESI


                                                             
La produzione di pipe è una tradizione tramandata da padre in figlio ed è fra le più antiche e famose attività artigianali della regione.
E’ un lavoro appassionante e delicato, costituisce una delle voci più importanti per la commercializzazione nei mercati nazionale ed internazionali.
Nelle vetrine dei negozi più famosi del mondo vengono esposte come elemento di grande distinzione, raffinatezza ed eleganza.




Le pipe calabresi risultano al primo posto nelle collezioni degli amatori e ricercatori più illustri, veri e propri estimatori del calibro dell’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini, Enzo Bearzot e lo storico sindacalista Luciano Lama apprezzate per le loro qualità funzionali che estetiche.


La produzione di pipe è realizzata con particolare maestria in alcuni piccoli paesini come Mandatoriccio e Rovito, in provincia di Cosenza, Brognaturo, piccolo centro montano arroccato ad un'altitudine di 750 metri sul livello del mare in provincia di Vibo Valentia e anche a Reggio Calabria.



La materia prima prodotta dai boschi calabresi è molto adatta per confezionare pipe di ottima qualità.
Particolarmente apprezzata la produzione di pipe di grandissimo pregio realizzate in radica di noce.
Per la realizzazione delle pipe si usa una protuberanza della radice della pianta Erica Arborea detta “ciocco”.
Il “ciocco” prima di essere utilizzato viene fatto stagionare almeno 2 anni (la stagionatura può anche essere più lunga, alcuni artigiani calabresi usano il “ciocco” solo dopo 9 anni).
         



Questa lunga stagionatura infonde al tabacco un gusto particolare ed unico.
Il processo lavorativo delle pipe calabresi è affascinante. La lavorazione è ancora realizzata a mano in tutte le sue fasi.

E’ un procedimento , attraverso il quale, con una lentissima scansione di tempo, si perviene all’oggetto finito. (fonte: dal web)


Alcune famose aziende Calabresi:
Azienda Fam.CARLINO - Mandatoriccio (cs)       
Azienda Fabrizio Romeo - Reggio Calabria
Azienda LAVORATORE DANTE - Rovito (cs)
Azienda VINCENZO GRENCI - Brognaturo (Vv)






mercoledì 22 ottobre 2014

Festa d'Autunno 2014: si rinnova l'appuntamento con la Sagra delle Castagne - 07 Novembre 2014 - San Donato di Ninea (Cs)


San Donato di Ninea (cs)



da venerdi 07 Novembre 2014
a domenica 09 Novembre 2014

sagra delle castagne san donato

Si rinnova anche quest'anno il consueto appuntamento con la Festa d'Autunno, meglio conosciuta come Sagra delle Castagne, giunta ormai alla XXIV edizione.

La manifestazione si svolgerà nei giorni 7, 8 e 9 Novembre nell'antico borgo cosentino di San Donato di Ninea, incorniciato da monti maestosi, panorami incantevoli e soprattutto da immensi castagneti. L'intera popolazione è già in fermento, pronta a ricevere i numerosi visitatori che giungono nel paesino calabrese in occasione della festa. Ed è proprio l'accoglienza della comunità sandonatese, insieme alle bellezze del territorio ed ai prodotti tipici della gastronomia locale, a rendere unica la Sagra della Castagne di San Donato di Ninea.

Come ogni anno la Festa d'Autunno sarà una meravigliosa combinazione di cultura e gastronomia. Nei giorni della festa sarà infatti possibile visitare il suggestivo centro storico del paese, che per l'occasione sarà animato da gruppi folkloristici, musica etno-popolare, artisti di strada, cortei storici, e soprattutto da numerosi stand eno-gastronomici.

Anche questa volta sarà rispettata, pertanto, l'impostazione tradizionale della sagra, ormai ampiamente collaudata ed apprezzata, con largo spazio ai prodotti tipici del territorio, ai convegni, alle mostre e...a tante tante castagne. (fonte: calabriaonline.com)

domenica 19 ottobre 2014

I dialetti calabresi

I dialetti calabresi



I dialetti calabresi sono fra i dialetti italiani che più di altri hanno attirato l'attenzione degli studiosi per le proprie peculiarità e le radici in tempi antichi. L'evidente diversità linguistica nell'ambito della stessa regione, il rapporto tra impronta greca (grecanica) e storia della Calabria, la più o meno precoce latinizzazione ed i "relitti" lessicali di altre lingue, la forte presenza della minoranza arbëreschë, sono oggi argomento di studio e discussione di glottologi e linguisti. Chi voglia infatti paragonare i dialetti italiani della Calabria meridionale con quelli parlati nella Calabria del nord, non può non notare il forte contrasto esistente. 


Un esempio è la forma del tempo perfetto indicativo (che include passato remoto e passato prossimo italiani), che ha due forme nelle due diverse zone: nel Nord-Calabria è un tempo composto, simile al passato prossimo italiano; nel Sud-Calabria invece, è un tempo semplice che ricorda il passato remoto italiano, da cui il grande errore di chiamare "passato remoto" questo tempo anche in calabrese (in realtà equivale esattamente al perfetto latino, dal quale deriva).  fonte:  Portale Calabria.com)